mercoledì 10 agosto 2011

Teatri in Città: repetita iuvant


Come qualcuno ha già detto meglio di noi, la bellezza di un rituale sta nella ripetizione.

Ci sono cose che ripetiamo da anni, alla conclusione di ogni edizione di Teatri in Città, e che ci fa piacere continuare a ripetere.

Come, ad esempio, la felicità per la presenza entusiastica e costante dei giovani volontari (partecipanti al progetto Universo Teatro) che hanno seguito lo svolgersi del festival in tutte le sue fasi e a cui speriamo di aver, in qualche modo, “attaccato il vizio” del teatro.

O la gratitudine, sia per la partecipazione di un pubblico che continua a seguire le nostre proposte con attenzione, curiosità, rispetto e competenza, che per la stima e l’affetto che ancora una volta registriamo da parte degli artisti e colleghi, senza la cui comprensione e flessibilità rispetto alle condizioni di budget “estreme” in cui ci tocca operare non saremmo materialmente in grado di offrire alcun tipo di programmazione di qualità.

Oppure, ancora, l’apprezzamento per la collaborazione e l’assistenza da parte del Comune di Caltagirone e del personale di Villa Patti, e per il sostegno e l’attenzione da parte di stampa, critica e media (fra cui quest’anno possiamo anche annoverare, con una punta di orgoglio, Radio24, Radio3 RAI ed il nostro media partner Succoacido.net).

Ce ne sono però alcune, fra le cose che ripetiamo da anni, il cui riproporsi – dopo diciassette anni, alla vigilia della “maggiore età” per Teatri in Città - ci fa assai meno piacere e ci imbarazza doverne ancora parlare.

Due fra tutte: la ciclicità implacabile di un rapporto quantomai schizofrenico con i nostri referenti istituzionali (tra l’altro assenti anche da spettatori) che ancora ci vede naviganti a vista in un pantano di precarietà e potenzialità sottoutilizzate, e la mancanza di una sede stabile di attività e programmazione che non solo noi ma la comunità cittadina tutta ha ben dimostrato di desiderare e meritare.

Su entrambe le questioni ci siamo già ampiamente espressi ma ribadiamo quanto, ancora di più in questo momento di grave crisi sociale ed economica, sia necessario per le istituzioni investire progettualmente sulla cultura per offrire opportunità di crescita ad una comunità.

La sede stabile l’abbiamo indicata da anni: lo spazio comunale del quartiere Semini a Caltagirone potrebbe essere – con i dovuti adeguamenti funzionali - una perfetta Casa del Teatro per l’Infanzia e la Gioventù.

A presto, con i migliori auspici.

Fabio Navarra, Nicoleugenia Prezzavento

lunedì 8 agosto 2011

Teatri in Città: Day 6 - Turi Marionetta




lunedì 8 agosto 2011 ore 21,00
Savì Manna (Catania)
TURI MARIONETTA
di e con Savì Manna

“Turi Marionetta” rappresenta l’esordio di un giovane autore e regista che sceglie di mettere in scena il frutto del proprio lavoro di ricerca sull’universalità e l’evoluzione della
marionettistica
. In un solo atto si ripercorre la storia del teatro di figura partendo dalle maschere di data preistorica fino all’Opera dei Pupi, vero caposaldo della tradizione teatrale siciliana. Qui la narrazione raggiunge il suo apice fondendo lo stile del teatro delle ombre con la tecnica del “Cuntu”.

II testo, alternando l'italiano accademico al siciliano, rende lode alla molteplicità dei registri
linguistici del nostro dialetto, usato come mezzo di rimembranza da un anziano catanese o come stile specifico “recuperato” dell’Opera dei Pupi. Il lavoro esprime tutta la forza della passione per un
linguaggio artistico popolare, molto vicino al teatro di strada e connotato da una capillarità tanto importante, nel secondo dopoguerra, da assumere le caratteristiche di un teatro rionale. Savi Manna riesce a fondere insieme tradizione orale, di cui si perde rapidamente memoria, con una attenta
raccolta di dati e informazioni provenienti dalla più accurata ricerca umanistica, riuscendo a far emergere un grido d’allarme verso le forme di comunicazione attuali che relegano i soggetti
all’interno delle proprie case e appiattiscono le molteplicità delle forme linguistiche.

La scena mette a fuoco tutta l’energia e la forza che il racconto di un anziano suscita in chi ascolta, con la sua capacità di andare a ritroso in un tempo sconosciuto ricco di visioni e di imprese. Come un bambino davanti al camino che brama i racconti del nonno, lo spettatore viene letteralmente
immerso in un’atmosfera concentrata e divertita di ascolto, in
un passato fatto di imprese
eroiche, di "ammazzatine" e conquiste
con un unico denominatore che è quello
dell’intrattenimento e della comunicazione. Nel testo alcuni momenti di autentico divertimento riportano di getto alla vita quotidiana, coinvolgendo il pubblico e stimolando una riflessione sul rapporto fra realtà e messa in scena.

Nato nel 1971 il catanese Savì Manna è studioso di teatro di figura e tradizione nonché artista multiforme: collabora con la “bottega” Cartura nella costruzione ed animazione di marionette e suona il violino da più di quindici anni – rigorosamente da autodidatta.
Ha collaborato con Gioacchino Palumbo, Roberta Torre, Marcello Cunsolo, Donatella Finocchiaro, Giovanni Calcagno, Alessandra Pescetta, CaneCapovolto.

Francesca, i cavalier, l'arme e gli amori...




Dopo lo spettacolo abbiamo offerto Alberto Nicolino "in pasto" a Francesca Sortino ed alle altre fanciulle partecipanti ad Universo Teatro. Ecco il risultato...


Ieri ci siamo sentiti tutti come bambini a ridere ai racconti di Alberto Nicolino che ci ha presentato la storia dell'Orlando Furioso dal punto di vista del Mago Atlante. La sua passione verso questo poema nasce dai tempi dell'Università, ci racconta Alberto in un'informale intervista di seguito allo spettacolo, e difatti chi è un vero appassionato, riesce ad appassionare anche gli altri.

Proprio questo è stato il suo strumento di coinvolgimento principale nei confronti del pubblico; una scenografia essenziale si è rivelata suggestiva per l'uso sapiente di pochi e semplici strumenti quali un imbuto, una scodella, una girandola, un cilindro ed un mantello. Trasformandosi da narratore a paggio, da sovrano a paladino, in maniera eclettica Alberto ci ha intrattenuto spensieratamente in una commedia dai ritmi concitati scanditi dalla sua abilità di riprodurre in maniera straordinariamente verosimile alcuni semplici suoni come ad esempio il galoppo di un cavallo o lo sbuffare di una locomotiva. Espediente, questo, che non aveva un intento preciso, ci spiega Alberto, ma che è nato spontaneamente dalla lettura del testo e che ben s'incastrava con alcuni passi del poema. Il poema stesso ci viene rappresentato come luogo caldo e confuso nel quale il Mago Atlante esercita un certo potere e sembra essere quell'unico personaggio che possieda una coscienza critica nei confronti degli avvenimenti del poema ariostesco.

L'Orlando Furioso nasce come opera che apparentemente non possiede uno scopo preciso e all'interno di essa ci sono vari elementi che contribuiscono all'avvaloramento di tale tesi. Difatti il poema si chiude così come l'inizio: senza nessun cambiamento. Non possiede un vero e proprio sviluppo che sfoci in uno "spannung" ma è caratterizzato principalmente da un avvicendarsi di imprevisti e contorsioni letterarie attorno ad una trama inesistente che si sviluppa in elaborati intrecci di varie storie il cui tema principale è sempre quello dell'amore. I personaggi difatti sono caratterizzati dalla "quete", una ricerca che non porta a nessun risultato poiché alla base di questo affanno vi è la volontà di raggiungere qualcosa che non si è mai visto e che non si conosce, pertanto, l'idealizzazione e l'illusione la fanno da padrone.

domenica 7 agosto 2011

Teatri in Città: Day 5 - Orlando Furioso raccontato dal Mago Atlante




domenica 7 agosto 2011 ore 21,00
Alberto Nicolino (Palermo)
Orlando Furioso raccontato dal mago Atlante
di e con Alberto Nicolino

Un attore per quattro personaggi, Si trasforma cambiando voce e cappello, si muove come un pupo. Per costumi elmi a forma di imbuto, pennacchi, girandole e scodelle di metallo.

L'Orlando Furioso è un appassionante labirinto di immagini e storie in cui ognuno dei
protagonisti insegue invano un oggetto, una donna, un nemico. È il mago Atlante, nella versione teatrale, ad accogliere il pubblico tra le pagine del poema. È lui a condurre e a narrare le vicende, ma non a controllare i destini in gioco. L'unico in grado di tirare le fila sta fuori dal poema ed è,
naturalmente, il poeta Ludovico Ariosto. "Qui dentro"
protesta Atlante contro il suo autore "siamo costretti a vivere sotto la dittatura della Fortuna, che determina ogni cosa! Tutti si muovono in modo prefissato, come pupazzi in una scacchiera!"

Ma dietro alle corazze lucenti, tra le pieghe delle inutili e roboanti imprese, si intravedono le
sofferenze d'amore.
L'unico ad accorgersene è proprio Atlante, però i suoi poteri finiscono qui.
È un mago che non controlla un bel niente e le sue magie sono trucchi da quattro soldi...

Laureato in Filosofia alla Statale di Milano e diplomato alla scuola del Teatro del Sole, Alberto Nicolino si forma e collabora con Claudio Morganti, Renata Molinari, Mimmo Cuticchio, Marco Baliani, Dani Kouyatè.
Nel 2006 realizza - come regista e montatore -
“Stirru/Racconti di Zolfo”, documentario sulle zolfare siciliane.

Per l’etichetta discografica Teatro del Sole di Palermo ha ideato e curato il CD “E Lu Cuntu
Camina
”, con una selezione di registrazioni di antichi racconti e canti del paese di Camporeale.

Francesca e il ferrovecchio



Continuano puntuali le "visioni personali" di Francesca Sortino per Teatri in Città 2011.



Una carcassa di bicicletta dal suono di ruggine esce di scena lasciando spazio alla solitudine di due uomini ormai emarginati dalla società perché ridotti in rovina. Fabrizio Ferracane e Rino Marino della Compagnia Sukakaifa di Trapani sono i protagonisti di "Ferrovecchio", titolo che prende spunto da una bicicletta che si fa portavoce dei sogni inseguiti per lungo tempo in un passato che sembra ormai remoto che ha decretato un profondo cambiamento di Andrea, barbiere fallito che non si riconosce più nel suo nome.

Ad essere in scena è il rifiuto di sé stessi insomma, dopo l'emarginazione da parte di una società che si arroga il ruolo di giudice supremo della vita altrui. Il risultato è una mancanza di fiducia nelle persone che ci stanno accanto che determina un'estrema solitudine dal momento che la mancanza di rifugio nel genere umano conduce alla follia. "Gli esseri umani sono degli animali sociali", ci ricorda Seneca, e sono creati per aggregarsi tra loro; mancando questa fondamentale fonte di alimentazione del proprio spirito, l'anima si riduce ad un mero essere vegetale in fin di vita. Ciò si scorge dai tratti corrucciati del viso di Andrea, ormai incapace di sorridere se non per l'ingenuità ancora bambina, o forse per un barlume di pazzia che scorge nell'amico per il quale sembra esistere solo lo sconnesso mezzo di trasporto a due ruote il cui cigolio rimanda a tempi lontani.


Anche questa sera la sedia di un barbiere è diventata in parte protagonista della storia, metafora della giostra della giovinezza il cui ruotare ti culla in un tranquillo sonno al quale ci si abbandona facilmente perché accompagnato dalle risa che risuonano ormai soltanto nella mente.
Due personalità forse un tempo simili che appaiono del tutto mutate nel profondo delle loro essenze, si scontrano adesso facendo i conti con la dura realtà della vita che ha sottratto loro tutto: per i due vagabondi senza famiglia, la scenografia della sgangherata bottega del barbiere Andrea, diviene scenario tragico in cui queste due personalità contrapposte si fanno compagnia: da una parte fiumi di parole di una mente ingenua o consumata dalla solitudine, dall'altra un muro di insofferenza e silenzio. "Ancora cinque minuti" è l'elemosina di tempo e di amore che l'amico rivolge ad Andrea -apparentemente riluttante, ma mai del tutto in grado di mandarlo via, anche lui bisognoso di un po' di calore umano - nella cui bottega non si reca più nessuno. Il suo silenzio si contrappone alla facile favella che deve sopportare, ma è un silenzio carico di tensione e di rabbia soffocata per essere stato inchiodato ingiustamente sulla croce della "follia" da un quartiere ormai deserto, dal momento che nessuno oserebbe passare di fronte la bottega del pazzo.

La musicalità del dialetto siciliano e scambi concitati di battute fanno di questo spettacolo uno scorcio di vita ilare e divertente; una comicità tuttavia grottesca che va pian piano trasformandosi in quella tragedia che è auspicabile a tutti evitare ma che, paradossalmente, è creata dallo stesso pazzo, folle uomo: la solitudine, dalla quale questi "scarti di umanità" tentano di fuggire a cavallo della bicicletta che trasporta sogni sulla lunga strada incognita della loro esistenza.

sabato 6 agosto 2011

Teatri in Città: Day 4 - Ferrovecchio




sabato 6 agosto 2011 ore 21,00
Associazione SukaKaifa (Trapani)
FERROVECCHIO
con Fabrizio Ferracane e Rino Marino
regia di Rino Marino
scene e costumi Rino Marino
disegno luci Luigi Biondi
assistente alla regia Viviana Di Bella

Un vagabondo che trascorre sentieri interminabili, lontano da ogni alito di vita, senza tempo né meta, a cavallo di una carcassa di bicicletta, per scacciare i fantasmi del passato. Un barbiere ridotto alla rovina e stigmatizzato dal mondo degli uomini.

In una Sicilia d’altri tempi, in una sala da barba dimenticata, dove il tempo sembra essersi cristallizzato e mai più scorso da ‘quel giorno’ di tanti anni fa, due individui ai margini dell’umanità corrente si incontrano e scontrano in un contrasto stridente tra reciproco rifiuto e disperata urgenza di comunicazione.

La pièce, a dispetto di un’apparente connotazione iperrealistica, presenta inequivocabili rapporti di contiguità con un certo teatro dell’assurdo, giacché, affondando le radici nei territori della follia, finisce ineluttabilmente per approdare, attraverso lo sfaldamento della logica comune, ad una dimensione ibrida e indefinita tra il tragico e il grottesco.

Dirompe infatti, a tratti, a stemperare le tinte fosche della vicenda, quella ilarità che il nonsense riesce a suscitare, conciliando, come non di rado accade, il naturale viraggio dal drammatico al comico.

Una recitazione agile ed essenziale, che restituisce la parola nella sua crudezza, nella sua nudità, alleggerita da gravami retorici, in un’alternanza di ritmi serrati e dilatazioni temporali, fedele a una partitura linguistico-fonetica, tesa all’esaltazione della straordinaria musicalità del dialetto siciliano.

L’idea di mettere in scena questo testo, ancora inedito, nasce dall’intento di far cimentare due attori, diversi per formazione ed esperienze, con le ‘diversità’ di due personaggi, che trovano tuttavia profonde consonanze nel manifestare, ciascuno a suo modo, il proprio disagio, la propria pena di vivere. Lo spettacolo è stato finalista al PREMIO TUTTOTEATRO.COM ALLE ARTI SCENICHE “DANTE CAPPELLETTI” 2010, ricevendo menzione della giuria (per l’uso del dialetto insieme realistico ed evocativo) e premio della giuria popolare.

La compagnia Sukakaifa, diretta da Rino Marino - psichiatra, attore, regista ed autore - ha realizzato lavori teatrali e cinematografici con pazienti psichiatrici. Ha vinto la I e la II “Biennale del teatro impegnato nel disagio psichico” di Massa Carrara. Quest’anno ha messo in scena “L’altro Anfitrione” - traduzione e adattamento di Rino Marino, per la regia di Paolo Graziosi - e “Scabbia”, atto unico di Rino Marino che ne ha curato la regia. In fase di postproduzione il lungometraggio “Il viaggio di Malombra” (di R. Marino), con il contributo della Film Commission Regione Siciliana.

Francesca, Nardino, Manue' ed i frammenti di un discorso amoroso


L'emozionante performance di Filippo Luna vista da Francesca Sortino.



Una lacrima che si materializza sul volto dell'attore e gli occhi lucidi del pubblico decretano il totale successo del terzo spettacolo di "Teatri in Città 2011" dal titolo "Le mille bolle blu" tratto da un monologo del giornalista Totò Rizzo, interpretato e diretto da Filippo Luna che ha magicamente mutato il brusio iniziale in un silenzio carico di emozione.

"Sorprendente" e "passionale" sono gli aggettivi che più si addicono alla bella ed accogliente personalità di Filippo che, nell'umiltà che lo caratterizza, ha magistralmente interpretato lo struggente ruolo di Nardino, uomo privato del grande amore della sua vita: il trentenne Manuè, oramai coperto da un cumulo di terra. Deceduto precocemente, il giovane avvocato non smette di amarlo dopo trent'anni, neanche dalla tomba, e l'umile barbiere di ricambiare il suo amore.

La vicenda ha infatti inizio nella bottega di Nardino quando, inaspettatamente, il bel Manuè si alza dalla sedia capovolgendo il corso degli eventi e...lo bacia. Nardo è dapprima spaventato; dopo però non si sa se i baci furono ventiquattromila, o quarantottomila o forse più, ma dopo l'iniziale fremito di paura e sgomento che li aveva colti, quella notte si amarono ed il tempo fuggì via, come per tutti gli insaziabili amanti, per i quali ogni istante viaggia troppo velocemente senza concedere loro la possibilità di saziarsi delle mani, del calore, dei corpi. Sfortunato fu il corso degli eventi dal momento che in quel 1961 non fu facile capire ciò che stava accadendo ai due giovani: a ciascuno di essi toccò infatti in sorte una moglie e dei figli. Ma ciò non fu motivo di rottura di un così grande legame. Tra una giustificazione ed un'altra, i due continuarono a vedersi e ad amarsi per trent'anni, sino alla morte di Manuè.

Il monologo, in cui il trascorrere del tempo è scandito dai grandi successi musicali degli anni '60 e '70, è caratterizzato dalla passionalità struggente ed il grande dinamismo, che si sono rivelati gli ingredienti fondamentali di una ricetta vincente il cui risultato è l'incredibile presenza scenica in un nudo palco con al centro una poltrona da barbiere attorno alla quale sembra ruotare l'intera vicenda: il primo luogo su cui Manuè sedette e Nardino lo vide nella sua fulgida bellezza, il nido del loro primo bacio e l'insolito talamo della loro unione; luogo di felicità, gioia, malinconia, tristezza e rabbia, forziere dei loro più cari ricordi, che Nardino accarezza, abbraccia, percuote e bacia, trono dell'uomo che ha amato per una vita intera.

Quella che spesso ci si ostina a definire "perversione" per essere coerenti con "norme" che per l'appunto delimitano degli schemi che alcuni folli, ancora in grado di amare, riescono a fuggire inseguendo la voce del loro cuore, dell'istinto, della passione, è in realtà soltanto una forma di amore, sentimento universale, immanente e trascendente, che si rivela inopportuno catalogare e impossibile distinguere in giusto o sbagliato. Le convenzioni sociali sono infatti delle limitazioni che alcuni individui capaci di grandi sentimenti evitano con cura in nome di un più grande spirito di comunione che unisce gli esseri umani di qualsiasi razza, religione o sesso. Questa è infatti la vera storia di Bernardo e Manuele: i loro due nomi di battesimo non erano mai stati accostati prima se non quando, durante una visita di cordoglio, la moglie di Manuele presentò agli ospiti Bernardo come "il barbiere di suo marito". Un mazzo di fiori, mai regalato in vita, per paura di venire allo scoperto, che giace sul giaciglio freddo di Manuè, sul quale ormai non resta che versare lacrime, diventa metafora dei rimpianti di ciò che non si è fatto in vita e che, a dispetto delle aride critiche della gente e dell'importanza dell'individualità, che ultimamente appare essere sempre più nota di demerito piuttosto che viceversa: "un mazzo di fiori tra fiori di gente".

Angosciosi e toccanti i lineamenti del versatile volto di Filippo Luna il quale è riuscito a far ridere, sorridere e persino commuovere tutto il pubblico con i suoi gesti così pieni di delicatezza, passione, impeto, rabbia, frustrazione ed infine rassegnazione in quella che è stata una ringkomposition: così come si è aperta la scena in uno spiraglio di luce a rappresentare la porta di casa di Manuè, quella stessa scia luminosa è stata la piccola scenografia dell'arrendersi alla morte della persona amata; una luce troppo stretta, ormai diventata buio senza il luminoso faro che fa da guida ai naufraghi vittime del travolgente oceano-mare Amore.

venerdì 5 agosto 2011

Teatri in Città: Day 3 - Le Mille Bolle Blu



venerdì 5 agosto 2011 ore 21,00
Filippo Luna (Palermo)
LE MILLE BOLLE BLU
da un racconto di Salvatore Rizzo
diretto ed interpretato da Filippo Luna
disegno luci Emanuele Noto
suono Danilo Pasca

“Le mille bolle blu”, monologo scritto dal giornalista Salvatore Rizzo, interpretato e diretto da Filippo Luna, ha debuttato – con grande successo di pubblico e di critica – il 25 novembre 2008 in anteprima nazionale al Teatro Nuovo Montevergini di Palermo. Nel capoluogo siciliano ha avuto diverse repliche che hanno registrato sempre il “tutto esaurito”. Nell’estate del 2009 è stato ospitato da diversi festival siciliani, tra cui le Orestiadi di Gibellina e Taormina Arte. Ha toccato vari centri dell’Isola (da Catania, ospite del cartellone del Teatro Stabile etneo, ad Enna – qui ha anche effettuato due recite straordinarie all’interno del carcere, primo spettacolo di tematica omosessuale proposto in un penitenziario italiano). Nell’aprile 2010 è stato ospite al Teatro Piave di Santo Stefano di Cadore della rassegna “Un ponte culturale per la convivenza civile nella legalità”.

Giocato sulle corde di un sentimento vero, profondo, universale che coinvolge ed emoziona lo spettatore fin dalle prime battute, “Le mille bolle blu” racconta l’amore che per trent’anni unisce, nella più assoluta clandestinità, Nardino ed Emanuele: barbiere di borgata il primo, avvocato il secondo. La scintilla tra i due giovani scocca nella bottega di Nardino, tra una vecchia poltrona da barberia ed una saracinesca abbassata in fretta. E la bottega diventa il rifugio di questo amore segreto che scorre parallelo alla “normale” vita di mariti e padri di famiglia. Il patto d'amore tra i due protagonisti resterà inossidabile dal 1961, l'anno in cui Mina cantava – appunto – “Le mille bolle blu”, fino agli inizi degli anni ’90 quando Emanuele muore.

“Le mille bolle blu” è tratto dall'omonimo racconto di Salvatore Rizzo, pubblicato in “Muore lentamente chi evita una passione. Diverse storie diverse” (Pietro Vittorietti Edizioni), una raccolta di dieci storie – tutte autentiche – di omosessualità maschile in Sicilia, dai primi anni del Novecento fino ai nostri giorni, di cui Rizzo è autore insieme con Angela Mannino e Maria Elena Vittorietti.

Nato nel 1968, Filippo Luna si diploma nel 1992 alla scuola di teatro dell’INDA di Siracusa. La sua esperienza professionale si divide fra teatro (è stato diretto, tra gli altri, da Thyerry Salmon, Giancarlo Sepe, Franco Però, Roberto Guicciardini, Luciano Nattino, Patrice Kerbradt, Sandro Sequi, Aurelio Gatti), televisione (“Il Commissario Montalbano”, “Squadra Antimafia Palermo”) e cinema (con Emanuele Crialese in “Nuovomondo” e “Terraferma”; con Ficarra e Picone in “La Matassa”; con Donatella Maiorca in “Viola di Mare”).

Con “Le mille bolle blu” ha vinto nel 2010 il premio ANCI per l’interpretazione.

Patri 'i Famigghia: Francesca colpisce ancora...


Ancora una recensione di Francesca Sortino, questa volta alle prese con "Patri 'i Famigghia" di Dario Tomasello e Roberto Bonaventura (produzione Teatro Vittorio Emanuele di Messina - Compagnia Castello di Sancio Panza).



Appare incredibile come un piccolo nucleo di soli tre attori sia in grado di mettere in atto una brillante commedia dai toni leggeri ma non per questo volta ad un sorriso sguaiato bensì ad un'ora di svago e riflessione su un altro attuale tema: quello della famiglia. Questo, infatti, il filo conduttore del secondo spettacolo ospitato da Nave Argo nell'ambito di Teatri in Città 2011 ; nonostante questo 4 agosto si sia dimostrato tutt'altro che caldo e accogliente, tali sono stati invece i sentimenti dimostrati dagli spettatori entusiasti che, nonostante l'insolito freddo e la tipica nebbia calatina, hanno applaudito con sincero diletto alla fine dello spettacolo dimostrando anche stasera il loro consenso.

Lo spettacolo - scritto da Dario Tomasello e diretto da Roberto Bonaventura - si è dimostrato alla portata di un pubblico vasto che ha gradito la frizzante comicità senza pause degli attori della compagnia messinese del "Teatro Vittorio Emanuele". Essa si è cimentata nel rappresentare la storia di tre cugini - Angelica, Rino e Nando - i quali, dopo la morte del padre di uno di essi, si trovano a discutere per una di quelle ragioni che, inspiegabilmente, a volte, riesce a dilaniare famiglie intere: la spartizione di un'eredità.

Riunitisi dopo diverso tempo, i tre cugini cercano di giungere ad un compromesso economico che possa soddisfare le esigenze di ciascuno; sfortunatamente però, queste paiono volte ciascuna ad interessi differenti e, proprio quando la scintilla della lite è sul punto di accendersi, Angelica trova le ultime volontà lasciate dal padre di Nando, secondo le quali tutti i beni sarebbero dovuti andare in beneficenza o appartenuti al primo tra loro che avesse avuto figli.
Nando, quasi disinteressato alla morte del padre, ci appare come soggetto ormai sradicato dalla propria terra, quella stessa terra nella quale in giovinezza aveva vissuto e che aveva amato, la medesima che l'aveva cresciuto nelle vesti di Custode di ricordi fanciulleschi e giocondi, chiusi nella cassapanca al centro del palcoscenico che diventa ora uno scrigno colmo di ninnoli, ora un nascondiglio per un travestimento, ora palcoscenico sul palcoscenico, trampolino dal quale lanciarsi in struggenti ricordi che si proiettano poeticamente in grandi ombre sulle mura del suggestivo scenario del palazzo Patti. Ombre "giovani" che colgono di sorpresa i cugini, così cambiati, così diversi, eppure così simili nei loro giochi d'infanzia, dolci spettri di ricordi che parevano ormai dimenticati ma che, nello stare insieme, rifioriscono spontaneamente in una partita di calcio con una palla di giornali o in un combattimento tra cavalieri dalle affilate spade. Un pastorale inno alla fanciullezza, od un acre scherno dell'infantilità?

In una società che non a caso viene spesso canzonata perché priva di valori, ecco che emerge la questione della scoperta delle proprie origini, dell'appartenenza ad una terra che spesso viene ormai abbandonata in nome di aspettative più grandi che dal calore del nostro sole ci trasportano verso la freddezza inumana della rassegnazione; dell'intensità del legame con chi ci ha messo al mondo ed è garante di una più che dignitosa esistenza, nonché pulpito di valori: la famiglia. Tuttavia, a volte la superficialità ci coglie impreparati e trova un terreno fertile sul quale attecchire lasciandoci quindi impotenti di fronte ad un allontanamento dai nostri padri, sempre in incremento. Questi padri e queste madri votati al sacrificio che, purtroppo, noi figli, siamo spesso incapaci di contraccambiare. Da una parte i riferimenti che spesso vengono a mancare, dall'altra genitori che fanno presto a mettere al mondo dei figli senza poi fare i conti con la paternità/maternità decretano un'imbattibile "pigrizia" che ci pervade rendendoci incapaci di scegliere di procreare il futuro concedendo a questa società di essere "figlia" impazzita piuttosto che cellula madre in grado di orientarci verso un futuro colmo di speranza.

giovedì 4 agosto 2011

Teatri in Città: Day 2 - Patri 'i Famigghia


giovedì 4 agosto 2011 ore 21,00
Teatro Vittorio Emanuele (Messina)
PATRI ‘I FAMIGGHIA
testo e drammaturgia di Dario Tomasello
con Angelo Campolo, Annibale Pavone, Adele Tirante
regia di Roberto Bonaventura

Patri ‘i famigghia è un apologo sul senso di desolazione e di sradicamento, vissuto da una generazione che non riesce ad assumersi la responsabilità più delicata: quella della cura paterna dei propri cari, del proprio tempo.

In un gioco ambiguo di ricognizione memoriale, tramato in dialetto messinese, tre cugini, Angelica, Rino e Nando, ritrovatisi per necessità alla morte del padre di quest’ultimo, tessono la tela, amara e divertita, dei ricordi di un’infanzia dolcissima, crudele e smarrita.

L’esito di quel ritrovarsi inatteso trascina echi di perduti rancori e tessere maliziose di un mosaico impossibile da ricomporre. L’età adulta si è compiuta senza costrutto, senza ipotesi di salvezza. Non resta che rifugiarsi nel passato, le cui ombre fanno meno paura dell’evidenza brutale della realtà odierna. Il prezzo di questo viaggio a ritroso vale comunque i rischi che esso comporta. Tutti si sottomettono alla sfida e più riaffiora viscerale la natura antica e radicale del rapporto più, come in un affresco verghiano, la roba, la terra, diviene l’oggetto di un’astiosa contesa.

Ancora una volta, secondo una linea privilegiata della drammaturgia meridionale (da Eduardo a Spiro Scimone), è la famiglia la chiave cruciale del disfacimento che ci è toccato in sorte.

Drammaturgo e studioso di teatro, Dario Tomasello è Professore Associato di Letteratura Italiana Contemporanea e Discipline dello Spettacolo presso l’Università di Messina.

Roberto Bonaventura inizia a lavorare in teatro nel 1996 come aiuto regista di Ninni Bruschetta, con il quale collabora fino al 2002. Collabora stabilmente con la compagnia Scimone/Sframeli. A novembre del 2002 debutta nella regia al Teatro S. Leonardo di Bologna con il monologo "Oratorio". Nel 2003 fonda l'associazione culturale Il Castello di Sancio Panza, della quale è direttore artistico.

Francesca e il Re Nudo, ovvero: Batalia vista dal liceo.


Francesca Sortino, una dei partecipanti ad "Universo Teatro" - il progetto formativo di Nave Argo che da diversi anni coinvolge giovani liceali ed universitari nel backstage e nel team organizzativo/logistico delle rassegne "teatrinfiniti" e "Teatri in Città" - condivide con noi una brillante recensione dello spettacolo d'apertura di Teatri in Città 2011.




Pinocchio è scaduto: un'interessante metafora all'insegna di un esame di sé stessi in coscienza di ciò che si è fatto in passato, diventa la conclusione del primo spettacolo del XVII festival del teatro organizzato dall'associazione calatina Nave Argo che la scorsa sera ha visto protagonisti i quattro componenti della compagnia teatrale palermitana "La Pentola Nera".

In un essenziale quanto suggestivo scenario a sfondo nero riempito da strumenti musicali e fotografie illuminate da ceri accesi, si collocano i quattro attori-musicisti i quali hanno dato vita ad una storia quantomai attuale: si tratta di una irriverente satira politica tersa di pseudonimi in cui Tizio Re deve fare i conti con la propria coscienza e con le menzogne e la corruzione che, purtroppo, nella politica quotidiana sono ormai all'ordine del giorno. Tizio Re, prima circondato da importanti personalità, chiusosi volontariamente nell'esilio di una torre perché rinnegato dallo stesso popolo che l'aveva eletto suo rappresentante, si vede abbandonato anche dalla moglie, Pandemonium, con la quale oramai non condivide più neanche "il tempo delle fotografie a farci vedere a fare la spesa"; una donna che si è in seguito venduta al miglior offerente, nonché peggior nemico del suo stesso consorte.


Interessanti sono i meccanismi svelati riguardanti la stesura di un discorso che possa far tornare in auge il nostro sovrano-specchio: un uomo che muta volto a seconda della persona che gli sta davanti ma che, nonostante tutto, mantiene sempre lo stesso sorriso di circostanza che lo caratterizza: uno sfacciato ghigno di angoscia e corruzione che lo rende manifesto pubblicitario di ciò che il popolo vuole vedere e che in realtà non ha: il benessere.

Tra note di scherno ed originali composizioni musicali che rendono lo spettacolo un inaspettato susseguirsi di scene e monologhi dal ritmo incalzante e dalle molteplici sfumature, il pubblico sorridente si è lasciato travolgere da urla e sussurri; dalla passione degli attori che hanno dato uno spunto di riflessione per cui l'assoggettamento a quei mezzi di comunicazione che Guccini riassume in "riflettori e paillettes" è un fenomeno che dilaga sempre più perché sempre meglio riesce a mascherarsi rendendo brillante e luminoso ciò che invece ci dovrebbe più spaventare: l'ignoranza. L'ignoranza di un mondo del quale conosciamo solo la facciata che la casta vuole farci conoscere, quello della maschera pirandelliana, del volto imbellettato per nascondere le brutture.

Sembra quasi un tragicomico ritratto di Dorian Grey che è più comodo a tutti non svelare, per quel rimorso che ci affligge per cui si è consapevoli di vedere ciò che si vuole e si aspetta sempre che qualcuno agisca prima di noi, divenendo pertanto ciascuno, causa di quel malessere comune dovuto all'eterna attesa di un "eroe" o di un martire che da solo cercherà di cambiare questo storto mondo; il ritratto di ciascuno di noi che, in fondo, ci lascia tutti con un amaro sorriso sulla bocca.


mercoledì 3 agosto 2011

Teatri in Città: Day 1 - Pinocchio è Scaduto

mercoledì 3 agosto 2011 ore 21,00

Associazione La Pentola Nera (Palermo)

PINOCCHIO E’ SCADUTO

scritto e diretto da Giacomo Guarneri
con Giacomo Guarneri, Domenico Surdi, Mauro Terranova, Egidio La Rocca
musiche originali Domenico Surdi, Mauro Terranova
scenografia Giacomo Guarneri
video Emanuele Guida


Tizio Re è l'ex Capo di Stato di Batalia. Ormai perseguitato dal suo popolo, vive

da un anno in esilio volontario al piano alto di una torre, su un'isola di cui non si dice il nome. Attorno a questi dodici mesi di esilio ruota il tempo del racconto.

Inizialmente gli era rimasta fedele la moglie, Pandemonium, sua curatrice dell'immagine; salvo in seguito scegliere anche lei, sulla scia dell'amato ghostwriter Folgerichtig, di arruolarsi alla corte del nuovo capo di Batalia - Assantumo, acerrimo rivale di Tizio - e vendere a lui i propri servigi.

Prima di abbandonarlo nell'isola però, forse per salvare Tizio da una disperante depressione, Pande aveva ingaggiato tre musici per la realizzazione di uno spettacolare discorso che avrebbe dovuto riscattare l'immagine di Tizio a Batalia. Con quei tre musici lo vediamo infatti nella scena: forse una loro proiezione, forse viceversa.

Le prove del discorso da farsi si trasformano in una rievocazione del passato e del presente di Tizio, e nel racconto della sua finale solitudine. Vittima di una lucida follia, Tizio ha come unici referenti i fantasmi della sua mente.

Ma l'effetto dell'esilio è stato in certo senso catartico, per Tizio. La solitudine, o forse il trauma della fine e dell'esilio, gli hanno elargito una sorta di saggezza, forse addirittura un senso morale dapprima sconosciuti. Si crea così il paradosso di un personaggio che è un autarca ma ravveduto, capace ormai di uno sguardo critico nei confronti del passato.

La società dello spettacolo ha prodotto anche una politica dello spettacolo. Inseguire, in solitudine e senza i collaboratori di sempre, le prove di un discorso destinato a non vedere mai la luce dei riflettori (ovvero una messa in onda) rappresenta forse il contrappasso ideale per un uomo che ha concepito i messaggi politici alla stregua di jingles pubblicitari e (va da sé) i rapporti umani come rapporti commerciali.

Attore e autore di teatro, Giacomo Guarneri si laurea in Lettere Moderne a Palermo con una tesi sulla performance del racconto. Nel corso della sua carriera ha collaborato con Mimmo Cuticchio, Ascanio Celestini, Davide Enia, Emma Dante. A Parigi conosce le opere del Nouveau Realisme e da allora si dedica alla pratica del collage d'immagini e di parole.

Nel 2007 fonda l'associazione culturale La pentola nera.
Nel 2008 il dramma epistolare
“Danlenuàr” (ospitato da Teatri in Città nel 2009), da lui scritto, diretto e prodotto, vince il Premio Enrico Maria Salerno per la Drammaturgia 2008 – Premio all'Autore. “Pinocchio è scaduto”, originale operazione di teatro-concerto, è la nuova produzione de La Pentola Nera proposta a Teatri in Città 2011 in prima nazionale.

giovedì 14 luglio 2011

TEATRI IN CITTA': il programma

“I padri hanno molto da fare per riparare al fatto di avere dei figli.”
Friedrich Nietzsche

Padri e patrigni della Patria. Padri mancanti e padri trapassati. Padri virtuali. Padri autori e burattinai.
Nel nome del Padre – che sia corp
o, assenza, ombra o agglomerato di incrollabili certezze– si dipana questa diciassettesima edizione di Teatri in Città, giacché sempre più spesso negli ultimi anni la nuova drammaturgia siciliana si sta confrontando con figure paterne probabili ed improbabili costruendo quasi una sorta di narrazione parallela, un “bildungsroman” collettivo di una generazione che ricerca e ridefinisce direzioni, ruoli e desideri rispetto e/o in opposizione a quanto ereditato. Con tutto il carico di smarrimenti, entusiasmi, incoerenze ed “astratti furori” che consuetamente accompagnano il passaggio all’età adulta e la definizione del proprio posto nel mondo.

Direzione Artistica: Fabio Navarra, Nicoleugenia Prezzavento


Mercoledì 3 Agosto 2011
Compagnia La Pentola Nera (Palermo)
PINOCCHIO E’ SCADUTO
scritto e diretto da Giacomo Guarneri
con Giacomo Guarneri, Domenico Surdi, Mauro Terranova, Egidio La Rocca
musiche originali Domenico Surdi, Mauro Terranova
Un ex autarca/capo di stato in esilio volontario; tre musici/cortigiani; le prove di un discorso – destinato a non vedere mai la luce - che si trasformano in una rievocazione del passato e nel racconto di una lucida follia. Un’originale operazione di teatro-concerto (proposta in prima nazionale) che offre una riflessione dai toni leggeri ma implacabilmente puntuale sulla società dello spettacolo e la sua tracimazione nella politica, nonché sulle fascinazioni fatali della “videocrazia” contemporanea.


Giovedì 4 Agosto 2011
Teatro Vittorio Emanuele (Messina)
PATRI ‘I FAMIGGHIA
testo e drammaturgia di Dario Tomasello
con Angelo Campolo, Annibale Pavone, Adele Tirante
regia di Roberto Bonaventura
Un apologo sul senso di desolazione e di sradicamento, vissuto da una generazione che non riesce ad assumersi la responsabilità più delicata: quella della cura paterna dei propri cari, del proprio tempo.
In un gioco ambiguo di ricognizione memoriale, tramato in dialetto messinese, tre cugini, Angelica, Rino e Nando, ritrovatisi per necessità alla morte del padre di quest’ultimo, tessono la tela, amara e divertita, dei ricordi di un’infanzia dolcissima, crudele e smarrita.


Venerdì 5 Agosto 2011
Filippo Luna (Palermo)
LE MILLE BOLLE BLU
da un racconto di Salvatore Rizzo
diretto ed interpretato da Filippo Luna
All’inizio degli anni ’60 in una bottega da barbiere nasce e si dipana, nell’arco di trent’anni, la storia d’amore struggente e clandestina fra Nardino ed Emanuele, due giovani della periferia Palermitana. Giocato sulle corde di un sentimento vero, profondo, universale che coinvolge ed emoziona lo spettatore fin dalle prime battute, “Le mille bolle blu” è il racconto epico e vibrante di quell’amore ed è valso a Filippo Luna il premio ANCI 2010 per l’interpretazione nonché il tutto esaurito a Taormina Arte, alle Orestiadi di Gibellina ed in numerosissime altre piazze italiane.


Sabato 6 Agosto 2011
Compagnia SukaKaifa (Trapani)
FERROVECCHIO
con Fabrizio Ferracane e Rino Marino
regia di Rino Marino
Un vagabondo che trascorre sentieri interminabili, lontano da ogni alito di vita, senza tempo né meta, a cavallo di una carcassa di bicicletta, per scacciare i fantasmi del passato. Un barbiere ridotto alla rovina e stigmatizzato dal mondo degli uomini. Due individui ai margini dell’umanità corrente che, in una Sicilia fuori dal tempo, si incontrano e scontrano in un contrasto stridente tra reciproco rifiuto e disperata urgenza di comunicazione. Una pièce iperrealistica ma ilare, una recitazione agile ed essenziale gratificata da una menzione speciale al Premio “Dante Cappelletti” 2010.


Domenica 7 Agosto 2011
Alberto Nicolino (Palermo)
ORLANDO FURIOSO RACCONTATO DAL MAGO ATLANTE
di e con Alberto Nicolino
L'Orlando Furioso è un appassionante labirinto di immagini e storie in cui ognuno dei protagonisti insegue invano un oggetto, una donna, un nemico. In questa versione teatrale è il mago Atlante ad accogliere il pubblico fra le pagine del poema ed a narrare le vicende ma non a controllare i destini in gioco: chi tira le fila sta fuori dal poema ed è, naturalmente, Ludovico Ariosto. Atlante è l’unico ad accorgersene e la sua accorata ma inutile “rivolta” tinge il racconto di note inedite e tragicomiche.


Lunedi 8 Agosto 2011
Savi Manna (Catania)
TURI MARIONETTA
di e con Savi Manna
“Turi Marionetta” rappresenta l’esordio di un giovane autore e regista che sceglie di mettere in scena il frutto del proprio lavoro di ricerca sull’universalità e l’evoluzione del teatro di figura. Lungi dall’essere un semplice excursus didattico, il racconto ha tutta la forza e l’energia della narrazione popolare insieme alla capacità di andare a ritroso in un tempo sconosciuto ricco di visioni e di imprese, trascinando lo spettatore in un’atmosfera concentrata e divertita d’ascolto che è quella propria dell’intrattenimento “fatto dalle persone per le persone”.


L'inizio degli spettacoli è previsto per le ore 21,00.

Ingresso intero € 6,00
Ingresso ridotto under 18 € 5,00
Abbonamento 6 spettacoli 25,00.

Informazioni e prenotazioni:
Tel/Fax 0933 58476 - nargo@tiscali.it

Iniziativa realizzata con il contributo di
Comune di Caltagirone - Assesssorati alla Cultura e al Turismo
Regione Siciliana - Assessorato del Turismo, Sport e Spettacolo