venerdì 5 agosto 2011

Patri 'i Famigghia: Francesca colpisce ancora...


Ancora una recensione di Francesca Sortino, questa volta alle prese con "Patri 'i Famigghia" di Dario Tomasello e Roberto Bonaventura (produzione Teatro Vittorio Emanuele di Messina - Compagnia Castello di Sancio Panza).



Appare incredibile come un piccolo nucleo di soli tre attori sia in grado di mettere in atto una brillante commedia dai toni leggeri ma non per questo volta ad un sorriso sguaiato bensì ad un'ora di svago e riflessione su un altro attuale tema: quello della famiglia. Questo, infatti, il filo conduttore del secondo spettacolo ospitato da Nave Argo nell'ambito di Teatri in Città 2011 ; nonostante questo 4 agosto si sia dimostrato tutt'altro che caldo e accogliente, tali sono stati invece i sentimenti dimostrati dagli spettatori entusiasti che, nonostante l'insolito freddo e la tipica nebbia calatina, hanno applaudito con sincero diletto alla fine dello spettacolo dimostrando anche stasera il loro consenso.

Lo spettacolo - scritto da Dario Tomasello e diretto da Roberto Bonaventura - si è dimostrato alla portata di un pubblico vasto che ha gradito la frizzante comicità senza pause degli attori della compagnia messinese del "Teatro Vittorio Emanuele". Essa si è cimentata nel rappresentare la storia di tre cugini - Angelica, Rino e Nando - i quali, dopo la morte del padre di uno di essi, si trovano a discutere per una di quelle ragioni che, inspiegabilmente, a volte, riesce a dilaniare famiglie intere: la spartizione di un'eredità.

Riunitisi dopo diverso tempo, i tre cugini cercano di giungere ad un compromesso economico che possa soddisfare le esigenze di ciascuno; sfortunatamente però, queste paiono volte ciascuna ad interessi differenti e, proprio quando la scintilla della lite è sul punto di accendersi, Angelica trova le ultime volontà lasciate dal padre di Nando, secondo le quali tutti i beni sarebbero dovuti andare in beneficenza o appartenuti al primo tra loro che avesse avuto figli.
Nando, quasi disinteressato alla morte del padre, ci appare come soggetto ormai sradicato dalla propria terra, quella stessa terra nella quale in giovinezza aveva vissuto e che aveva amato, la medesima che l'aveva cresciuto nelle vesti di Custode di ricordi fanciulleschi e giocondi, chiusi nella cassapanca al centro del palcoscenico che diventa ora uno scrigno colmo di ninnoli, ora un nascondiglio per un travestimento, ora palcoscenico sul palcoscenico, trampolino dal quale lanciarsi in struggenti ricordi che si proiettano poeticamente in grandi ombre sulle mura del suggestivo scenario del palazzo Patti. Ombre "giovani" che colgono di sorpresa i cugini, così cambiati, così diversi, eppure così simili nei loro giochi d'infanzia, dolci spettri di ricordi che parevano ormai dimenticati ma che, nello stare insieme, rifioriscono spontaneamente in una partita di calcio con una palla di giornali o in un combattimento tra cavalieri dalle affilate spade. Un pastorale inno alla fanciullezza, od un acre scherno dell'infantilità?

In una società che non a caso viene spesso canzonata perché priva di valori, ecco che emerge la questione della scoperta delle proprie origini, dell'appartenenza ad una terra che spesso viene ormai abbandonata in nome di aspettative più grandi che dal calore del nostro sole ci trasportano verso la freddezza inumana della rassegnazione; dell'intensità del legame con chi ci ha messo al mondo ed è garante di una più che dignitosa esistenza, nonché pulpito di valori: la famiglia. Tuttavia, a volte la superficialità ci coglie impreparati e trova un terreno fertile sul quale attecchire lasciandoci quindi impotenti di fronte ad un allontanamento dai nostri padri, sempre in incremento. Questi padri e queste madri votati al sacrificio che, purtroppo, noi figli, siamo spesso incapaci di contraccambiare. Da una parte i riferimenti che spesso vengono a mancare, dall'altra genitori che fanno presto a mettere al mondo dei figli senza poi fare i conti con la paternità/maternità decretano un'imbattibile "pigrizia" che ci pervade rendendoci incapaci di scegliere di procreare il futuro concedendo a questa società di essere "figlia" impazzita piuttosto che cellula madre in grado di orientarci verso un futuro colmo di speranza.

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