sabato 6 agosto 2011

Francesca, Nardino, Manue' ed i frammenti di un discorso amoroso


L'emozionante performance di Filippo Luna vista da Francesca Sortino.



Una lacrima che si materializza sul volto dell'attore e gli occhi lucidi del pubblico decretano il totale successo del terzo spettacolo di "Teatri in Città 2011" dal titolo "Le mille bolle blu" tratto da un monologo del giornalista Totò Rizzo, interpretato e diretto da Filippo Luna che ha magicamente mutato il brusio iniziale in un silenzio carico di emozione.

"Sorprendente" e "passionale" sono gli aggettivi che più si addicono alla bella ed accogliente personalità di Filippo che, nell'umiltà che lo caratterizza, ha magistralmente interpretato lo struggente ruolo di Nardino, uomo privato del grande amore della sua vita: il trentenne Manuè, oramai coperto da un cumulo di terra. Deceduto precocemente, il giovane avvocato non smette di amarlo dopo trent'anni, neanche dalla tomba, e l'umile barbiere di ricambiare il suo amore.

La vicenda ha infatti inizio nella bottega di Nardino quando, inaspettatamente, il bel Manuè si alza dalla sedia capovolgendo il corso degli eventi e...lo bacia. Nardo è dapprima spaventato; dopo però non si sa se i baci furono ventiquattromila, o quarantottomila o forse più, ma dopo l'iniziale fremito di paura e sgomento che li aveva colti, quella notte si amarono ed il tempo fuggì via, come per tutti gli insaziabili amanti, per i quali ogni istante viaggia troppo velocemente senza concedere loro la possibilità di saziarsi delle mani, del calore, dei corpi. Sfortunato fu il corso degli eventi dal momento che in quel 1961 non fu facile capire ciò che stava accadendo ai due giovani: a ciascuno di essi toccò infatti in sorte una moglie e dei figli. Ma ciò non fu motivo di rottura di un così grande legame. Tra una giustificazione ed un'altra, i due continuarono a vedersi e ad amarsi per trent'anni, sino alla morte di Manuè.

Il monologo, in cui il trascorrere del tempo è scandito dai grandi successi musicali degli anni '60 e '70, è caratterizzato dalla passionalità struggente ed il grande dinamismo, che si sono rivelati gli ingredienti fondamentali di una ricetta vincente il cui risultato è l'incredibile presenza scenica in un nudo palco con al centro una poltrona da barbiere attorno alla quale sembra ruotare l'intera vicenda: il primo luogo su cui Manuè sedette e Nardino lo vide nella sua fulgida bellezza, il nido del loro primo bacio e l'insolito talamo della loro unione; luogo di felicità, gioia, malinconia, tristezza e rabbia, forziere dei loro più cari ricordi, che Nardino accarezza, abbraccia, percuote e bacia, trono dell'uomo che ha amato per una vita intera.

Quella che spesso ci si ostina a definire "perversione" per essere coerenti con "norme" che per l'appunto delimitano degli schemi che alcuni folli, ancora in grado di amare, riescono a fuggire inseguendo la voce del loro cuore, dell'istinto, della passione, è in realtà soltanto una forma di amore, sentimento universale, immanente e trascendente, che si rivela inopportuno catalogare e impossibile distinguere in giusto o sbagliato. Le convenzioni sociali sono infatti delle limitazioni che alcuni individui capaci di grandi sentimenti evitano con cura in nome di un più grande spirito di comunione che unisce gli esseri umani di qualsiasi razza, religione o sesso. Questa è infatti la vera storia di Bernardo e Manuele: i loro due nomi di battesimo non erano mai stati accostati prima se non quando, durante una visita di cordoglio, la moglie di Manuele presentò agli ospiti Bernardo come "il barbiere di suo marito". Un mazzo di fiori, mai regalato in vita, per paura di venire allo scoperto, che giace sul giaciglio freddo di Manuè, sul quale ormai non resta che versare lacrime, diventa metafora dei rimpianti di ciò che non si è fatto in vita e che, a dispetto delle aride critiche della gente e dell'importanza dell'individualità, che ultimamente appare essere sempre più nota di demerito piuttosto che viceversa: "un mazzo di fiori tra fiori di gente".

Angosciosi e toccanti i lineamenti del versatile volto di Filippo Luna il quale è riuscito a far ridere, sorridere e persino commuovere tutto il pubblico con i suoi gesti così pieni di delicatezza, passione, impeto, rabbia, frustrazione ed infine rassegnazione in quella che è stata una ringkomposition: così come si è aperta la scena in uno spiraglio di luce a rappresentare la porta di casa di Manuè, quella stessa scia luminosa è stata la piccola scenografia dell'arrendersi alla morte della persona amata; una luce troppo stretta, ormai diventata buio senza il luminoso faro che fa da guida ai naufraghi vittime del travolgente oceano-mare Amore.

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