Per la Compagnia dell'Elica di Palermo la fascinazione per lo "straniero" non è solo una suggestione relativa al protagonista del loro ultimo spettacolo ma una vera e propria idea di poetica che investe l'identità ed il senso ultimo del teatro medesimo; nelle parole di Gigi Borruso - allievo di Michele Perriera nonché regista e fondatore della compagnia - "La forza dirompente, oppositiva del teatro e dell’arte può forse costruirsi oggi proprio sulla sua inattualità. Sul suo essere straniera al luogo e al tempo della nostra reticente quotidianità [...] Crediamo nell’inattualità diacronica del teatro: che sa immaginare il futuro e accoglie la memoria senza pregiudizi. L’inattualità come alternativa laica del sentire e del pensare alla società dell’omologazione irresponsabile, dell’eterno presente."
Da ciò la scelta dell'elica come simbolo, antichissimo e moderno insieme, di movimento mai concluso, di "divenire".
Su "Luigi che sempre ti penza", Borruso - che ne è autore e protagonista- scrive: “Ho immaginato lo sguardo di quest’uomo, la percezione di sé in terra “straniera”. L’ho immaginato nella baracca del cantiere in Germania, intento a rimembrare a voce alta i sogni della notte trascorsa, a scrivere alla sua famiglia [...]
Da alcuni anni lavoro ad un teatro che tenta di coniugare la consapevolezza etica con lo stupore fantastico e mitico. Accostandomi ad un tema di attualità, per certi versi abusato, come quello dei migranti, ho lavorato ad una dimensione quasi fiabesca. Provando a ricreare un linguaggio, quale quello suggerito dalle lettere dei nostri emigranti, asciutto e straniato rispetto alle norme della lingua, concreto e polivoco ad un tempo. Luigi parla una lingua che racconta di un’altra estraneità, di un altro esilio. Sospesa fra il siciliano contadino, la lingua italiana ed il tedesco: fra la lingua della terra, della famiglia e quella dei media, dell’autorità, del lavoro. Chissà che la “fragilità” della sua lingua non apra nuovi piani di senso… "
Da alcuni anni lavoro ad un teatro che tenta di coniugare la consapevolezza etica con lo stupore fantastico e mitico. Accostandomi ad un tema di attualità, per certi versi abusato, come quello dei migranti, ho lavorato ad una dimensione quasi fiabesca. Provando a ricreare un linguaggio, quale quello suggerito dalle lettere dei nostri emigranti, asciutto e straniato rispetto alle norme della lingua, concreto e polivoco ad un tempo. Luigi parla una lingua che racconta di un’altra estraneità, di un altro esilio. Sospesa fra il siciliano contadino, la lingua italiana ed il tedesco: fra la lingua della terra, della famiglia e quella dei media, dell’autorità, del lavoro. Chissà che la “fragilità” della sua lingua non apra nuovi piani di senso… "
Questa sera (domenica 26 agosto) alle ore 21 nel parco di Villa Patti a Caltagirone.
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